“Oltre la metà del PIL mondiale dipende moderatamente o fortemente dalla natura”. Questa conclusione del World Economic Forum è diventata fondamentale nel discorso sulla finanza naturale, ma è accurata?
La Task Force sui mercati naturali, che rappresenta i politici, il settore privato, la società civile e le comunità indigene, cerca di stabilire un quadro di governance ambizioso ma pratico per incorporare la natura nell’architettura finanziaria globale. Offre una stima diversa della connessione: “Il 100% dell’economia globale di oggi dipende al 100% dalla natura”.
Paul Dickinson, co-fondatore del CDP, il più grande sistema di divulgazione ambientale del mondo, è d’accordo con questi calcoli: “Se sei su un’astronave, quale percentuale del PIL della nave dipende dal sistema di supporto vitale? Non è il 50%, è il 100%”.
La natura è stata a lungo sottovalutata e sovrasfruttata, ma gli interessi politici ed economici stanno sempre più mettendo in luce i rischi legati alla natura e alla biodiversità, come le interruzioni della catena di approvvigionamento causate dal collasso dell’ecosistema o dalla volatilità dei prezzi delle materie prime.
Basandosi su tale interesse, in agosto la Task Force sui mercati naturali ha pubblicato raccomandazioni per guidare l’evoluzione dei “mercati naturali” che valorizzano le risorse naturali in modo che il loro impatto sull’economia globale sia riflesso in modo più accurato.
I mercati naturali hanno due scopi principali:
- Garantire che la natura – espressa in servizi ecosistemici e risorse naturali – abbia un prezzo adeguato; E
- Sostenere gli investimenti che proteggono e ripristinano i processi naturali, gli ecosistemi e le specie, uno stato che alcuni nel mondo degli affari hanno soprannominato “natura positiva”.
Secondo la Task Force on Nature Markets, gli attuali meccanismi finanziari legati alla natura possono essere suddivisi in quattro segmenti.
- Mercati intrinseci che consentono il commercio di risorse estratte dal mondo naturale. Questi includono i mercati delle materie prime dure (oro, gomma, petrolio) e morbide (mais, grano, caffè) o i pagamenti per i servizi ecosistemici.
- Mercati delle attività, che scambiano i diritti di utilizzo di un intero bene ecosistemico. Esempi sono gli investimenti nel legname effettuati da investitori istituzionali attraverso fondi che investono in legname e silvicoltura o fondi di investimento immobiliare (REITS) che investono in terreni forestali per produrre e vendere prodotti forestali.
- Mercati del credito, ad esempio per la rimozione o la riduzione del carbonio, e ora anche per il ripristino della biodiversità. Le banche degli habitat del Regno Unito ne sono un esempio, che anche l’Unione Europea sta prendendo in considerazione.
- Mercati dei derivati per prodotti finanziari che riflettono direttamente i valori dell’ecosistema come quelli negoziati nelle borse dei futures, incluso il Chicago Board of Trade.
Secondo le raccomandazioni della task force, far funzionare i mercati naturali non dovrebbe essere lasciato alle sole forze del mercato e richiederà azioni politiche e politiche potenti.
Il documento esprime l’urgente necessità che i governi intensifichino gli impegni legali per la conservazione e la rigenerazione della natura che possano guidare le pratiche di investimento delle istituzioni finanziarie domiciliate in quei paesi.
Questa potrebbe rappresentare una sfida particolare in un momento in cui i regolatori stanno cedendo sempre più il loro ruolo alle aziende: è così che alcuni hanno inquadrato il lavoro svolto dalla Task Force on Nature-Related Financial Disclosures, che sta promuovendo linee guida per la rendicontazione aziendale simili a quelle per la divulgazione delle emissioni di carbonio. .
La Task Force per i mercati naturali è inoltre cauta riguardo alla sfida di misurare progetti o investimenti destinati ad affrontare la perdita della natura o della biodiversità. Sottolinea come i mercati finanziari abbiano faticato ad affrontare adeguatamente il rischio climatico, nonostante abbiano stabilito parametri per misurare le emissioni di carbonio e una serie chiara di tecnologie energetiche pulite da utilizzare come soluzione.
Con questo non intendo insinuare che i mercati naturali siano destinati a fallire. Il Global Biodiversity Framework – adottato alla COP 15 per mobilitare 30 miliardi di dollari entro il 2030 per proteggere il 30% dell’ambiente terrestre e marino del mondo – ha chiarito nei suoi obiettivi che sia i finanziamenti pubblici che i programmi come il pagamento per i servizi ecosistemici e le compensazioni e i crediti per la biodiversità saranno essere cruciale per raggiungere quell’obiettivo.
L’ostacolo più grande da superare è una dissonanza cognitiva collettiva che impedisce ai politici e ai partecipanti al mercato di apportare cambiamenti audaci e fondamentali, afferma la Task Force for Nature Markets nelle sue raccomandazioni. C’è invece la tendenza ad abbracciare un cambiamento incrementale che si concentri sulla risposta a minacce sistemiche immediate piuttosto che più ampie.